Diamoci un taglio

Diamoci un taglio

“Va bé, cosa ci vuole, lo sapevo fare anch’io!”.
“Dai, non sarà arte questa!”.

Questa è la reazione più comune davanti alle tele tagliate di Lucio Fontana. Non so quanto l’artista sia stato realmente un innovatore o quanto fosse autentica la sua ispirazione, di certo so che Lucio Fontana incarnò alla perfezione lo spirito del gaucho lombardo.

Nato a Rosario, nel 1899, da padre italiano e da madre argentina, trascorse la sua giovinezza tra Milano e Buenos Aires, perennemente indeciso tra un caffè dall’aroma forte e concentrato e un mate pigro e rassicurante.

Pittore, scultore, mosaicista e ceramista, fondatore del movimento spazialista, Fontana amò con medesimo ardore lo Stivale e la riva destra del Rio de la Plata. Durante la Prima Guerra Mondiale si arruolò volontario per difendere il suolo italiano e venne congedato con una medaglia d’argento. Anche l’Argentina era casa sua: lì crebbe come uomo e come artista.

Un critico autorevole lo descrisse come “un esempio di fiducia profonda nelle possibilità innovative della vita e nelle risorse creative umane”, alla faccia di tutti i detrattori di buchi, tagli e squarci.

Potrà sembrare irriverente ma anche il titolare della gastronomia frequentata dai miei genitori quando ero un bambino si chiamava Fontana. Pure lui aveva una certa dimestichezza con l’affettare: era da gustare a occhi chiusi, e in religioso silenzio, il suo San Daniele tagliato sottilissimo.


L’immagine che accompagna questo post è di Constanza Elizondo, argentina, splendida graphic designer e tanguera hasta la medula.

 

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