Repulsion, Bella di giorno, L’ultimo Metrò: Catherine Deneuve ci ha regalato interpretazioni memorabili in film di rara bellezza.

Di lei, però, ricordiamo anche una sua esternazione di qualche tempo fa. Un’analisi sociologica di notevole spessore condensata in una frase.

“Gli italiani hanno in mente solo due cose: l’altra è la pasta.”

Senza voler sminuire il prestigio della carbonara e dell’amatriciana credo sia più corretto sostituire la “pasta” con il “calcio”. E non vale solo per gli italiani.

Come ci rammenta Leonardo Nascimento de Araujo, attuale direttore generale dell’area tecnico sportiva del Milan, il calcio è emozione. Aggiungerei che è poesia e cultura, ma anche valvola di sfogo per beoti e poveri di spirito. Pennellate divine e violenza insensata.

Cent’anni fa Arthur Conan Doyle difendeva i pali del Portsmouth e l’anno scorso, alla Notte degli Oscar, Viggo Mortensen ha mostrato con orgoglio lo scudetto del San Lorenzo de Almagro, la sua squadra del cuore. Da genovese purosangue, Fabrizio De André adorava il nobile Grifone e Carmelo Bene posticipava l’orario dei suoi spettacoli se in quel momento c’era in campo Rivera.

Come ci insegna Goethe, dove c’è molta luce l’ombra è più nera.

Per oscure questioni personali, il figlio del dittatore rumeno Nicolae Ceausescu fece spezzare le mani a Helmuth Duckadam, il portiere della Steaua Bucarest che pochi mesi prima aveva sollevato la Coppa dei Campioni. Si dice, poi, che il cuore di Adolf Hitler battesse più per lo Shalke 04 che per Eva Braun.  

Il pallone, fin dall’inizio, s’intreccia con gli splendori e le miserie della vita umana. Per questo il Gaucho lombardo ama così tanto scrivere di calcio, alcune volte distaccato altre con passione ma sempre alla ricerca del commento scanzonato o della conclusione fulminante. Come Catherine Deneuve.