¡Ay herida!

¡Ay herida!

¡Ay herida! ¡Ay aguja de hiel, camelia hundida!

Sto esagerando? Forse solo nel citare Garcia Lorca anziché Borges o Cortazar. Però, vi giuro, non trovo parole migliori per definire le sofferenze del mio cuore dilaniato quando si sfidano Italia e Argentina.

Dopo la vittoria con la Scozia, a Murrayfield, dell’Italia del rugby, e allontanato lo spettro dell’ennesimo cucchiaio di legno la mente torna a ciò che è successo lo scorso novembre, quando a Genova sono scesi in campo i Pumas e i ragazzi in maglia azzurra per darsele di santa ragione.
È il triste destino di un gaucho lombardo: se vedi vincere gli uni, vedi perdere gli altri. Metti il drop fallito da Orquera nel finale: delusione amara o immenso sollievo? Entrambi. Con il cuore e lo stomaco andati in panne.

Certo, potrei cercare di rovesciare il punto di vista: ho la fortuna di vedere sempre vincere qualcuno. Ma non funziona: il dolore della sconfitta supera sempre la gioia della vittoria. Deve essere un vizio latino, ho il sospetto che a uno svizzero non accadrebbe mai. Chissà, magari un giorno ci sarà una squadra con la maglia albiceleste e i calzoncini azzurri – l’Argentalia! – e risolverò i miei problemi.

In questo preciso istante, poi, mi coglie un dubbio: ma i brasiliani giocano a rugby? Figurati… Vedo già la scena: per caricarsi, prima della partita, tutti lì a bere pinha colada e suonare il berimbau.

4 commenti

  1. anch’io da italiano provo la stessa sensazione tremenda di gioia e dolore
    non riesco a sciegliere,non posso e non voglio scegliere!
    La festa vera e’ sempre prima di incontrarsi e dopo!
    ho imparato che tra questi due popoli chi vince ,prima di gioire consola l’avversario,come se giocassi a tennis contro tuo fratello.
    In ogni caso vincere o perdere come lo viviamo entrambi è un privilegio che solo noi possiamo vivere.

  2. Querido Gaucho,
    Castrogiovanni è argentino? e Parisse?
    Cubelli, Alemanno, Cortese, Porta, Contempomi non sono italiani?
    Essere argentini è, tante volte, essere (anche) italiani, e la sottile linea che separa l’angoscia della sconfitta dall’euforia della vittoria permane anche dopo generazioni.

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